Venezia salva

Mostra a cura di Vittoria Surian in collaborazione con Carla Turola Stefano Cecchetto, Lidia Panzeri.
SIMONE WEIL E L’ITALIA: L’APPAGAMENTO DI UN DESIDERIO di Gabriella Fiori

“Quando si è veramente sognato una cosa, bisogna finire per farla: questa è la mia morale”. Questo consiglio ai genitori, per una loro vacanza, è lo stesso che guida Simone Weil nel desiderio dei suoi due viaggi in Italia (fine aprile – metà giugno 1937; fine maggio-inizio agosto 1938) e nella volontà di esaudirlo. L’Italia è per lei un’isola dell’anima, a cui approda con ardore.
Per la prima volta la vediamo vivere una fase di benefica vacanza, in cui gli studi e le letture mettono in risalto la fisionomia dei luoghi (Macchiavelli, Galilei, Dante, Lorenzo il Magnifico, i“Fioretti” di S. Francesco nel 1937), e la fisionomia dei luoghi è interpretata e descritta con ab- bandono affettivo (1937: a Firenze pensa di aver vissuto “una vita anteriore”; Assisi a campagne “tanto soavi, miracolo-samente evangeliche e francescane”; 1938: Venezia emerge, mirabile e incantata, la città-simbolo del nutrimento di un gruppo umano).
Gioiosa, Simone non ha abbastanza occhi per vedere, orecchi per ascoltare. Cammina infaticabile; lei, che soffre da anni di una grave emicrania, non accusa mai mal di testa. Ché l’Italia è per lei nutrimento: affettivo, soprattutto attraverso gli incontri casuali; di ispirazione estetica, a lei donata dalla pittura (Leonardo, Giotto, Gior-gione), dalla scultura(Michelangelo), dall’architettura (la “divina cupola” di San Pietro con la piazza che la precede) e dalla musica (Monteverdi); di valore spi- rituale e dell’ambiente attraverso le città. Un evento che mi pare riassuma, quasi emblema, il rapporto fra Simone e questa sua patria interiore è un fatto: l’Italia risuscita in lei una vocazione per vari motivi inibita fin dall’adolescenza: la vocazione per la poesia. Desiderio pro- fondo che dà il suo frutto nella tragedia incompiuta “Venezia salva”, su cui Simone lavorerà soprattutto nel 1940. “Venezia salva” è la sintesi di un microcosmo poetico delle idee e del pen- siero politico weiliano sui “rapporti di forza” nella società. Coloro che si credono forti e sono ebbri dell’illusione della forza sono i veri schiavi. Loro padrone è il sogno, il sogno che è legato alla “necessità” di mentirsi perché non si sopporta la propria impotenza sulla terra. Ne nasce la volontà perversa di distruzione della realtà per trasmutarla nel proprio sogno. E’ l’azione della tragedia, fatto autentico che avvenne nel 1618: la congiura degli spagnoli contro Vene-zia, ordita dall’ambasciatore spagnolo e da lui affidata per l’esecuzione a Renaud signore francese di età avanzata, spirito machiavellico “di alta saggezza politica” e a Pierre, pirata provenzale, capitano e marinaio di fama. Il piano prevedeva l’agire in piena notte, la vigilia di Penteco-ste, con la collaborazione dei mercenari di guarnigione a Venezia, appiccando il fuoco in tutti i quartieri. Ma uno dei capi, Jaffier, provenzale, capitano di vascello, “fece fallire la congiura, rivelandola al Consi-glio dei Dieci, per pietà verso la città”. Questa “pietà” ritenuta dal Saint Réal, il primo autore della novella storica sulla congiura, mera vigliaccheria e poi trascu-rata come motivo assurdo da altri autori, appare a Simone motivo di una “bellezza esemplare”. Gesto di un “uomo attento”, che si distaccava da se stesso, così riuscendo a vedere “le cose nude”, libere in primo luogo dalla “illusione della forza” e a compiere l’azione “anormale, ma possi-bile, e il bene”. (Simone Weil, “Poémes suivis de Venise sauvée”, Gallimard, Paris 1968).
L’arte doveva darne coscienza.

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